3 dicembre 2023

L'iscrizione della catacomba di Commodilla

di Walter Iorio

Si tratta di un testo molto breve inciso nella cornice di un affresco situato nella cripta dei santi Felice e Adàutto in Roma Ostiense.
Ugualmente anonimo come tanti altri del periodo medio-latino, esso, datato molto probabilmente al IX secolo d. C. − e, pertanto, da ritenersi fra i più antichi esemplari della documentaristica volgare italiana − esso rientra nell'ambito di quella produzione adespota, dei cui manufatti è spesso impossibile individuare la paternità artistica per i motivi già altrove accennati.

L'esiguità testuale del documento, qui trascritto nella sua originaria configurazione spaziale e in qualche modo pentastichica:

non dice
re il
le se
crita
a bboce

(e poi in scriptio monostica per comodità di lettura) non offre grandi motivi di riflessione o, al contrario, ne può suggerire più di uno; ma se ci si muove nell'ambito del dato sicuro della ricerca, se ne può leggere in ogni caso la materia:

Non dicere ille secrita a bboce.   Non dire quei segreti a voce (alta)

Un testo senz'altro elementare nella sostanza e nella forma, che, senza nessuna pretesa artistica, rivolge l'invito a un personaggio, forse legato al mondo ecclesiastico, a non parlare ad alta voce di argomenti da non divulgare espressamente.

A che cosa potrebbe alludere?

Molti studiosi individuano la fonte originaria di questa trascrizione in un documento del VI secolo d. C. quando l'ultimo Paganesimo, pur desinente nell'Urbe in ambienti aristocratici legati a memorie di antico prestigio, costringeva alla clandestinità i sempre più numerosi adepti della nuova fede cristiana.

Proprio in questi ipogei segreti (ma quanto occulti?) essi trascorrevano i momenti più significativi e distintivi della loro professione religiosa e della esistenza spirituale, di cui davano testimonianza attraverso opere pittoriche ed elaborazioni scritte con i materiali di cui disponessero.
Nel caso di specie ci si trova pertanto al cospetto, come si diceva prima, di segni incisi in una forma rudimentale e senza una spazialità regolare, alquanto simili a quelli delle prime elaborazioni grafiche dei bambini, quando questi esordiscono nell'attività della scrittura.

Che il senso di questo reperto adombri un pericolo per la celebrazione della liturgia cristiana è plausibile, benché, a onor del vero, in quel momento storico, le comunità cristiane operassero sub diem ormai da tempo e fossero tutelati, ormai da due o tre secoli, dalle disposizioni dell'Editto di Milano del 313 d. C., che “consentiva la pratica del culto cristiano”(1) e, neanche a dirlo, dal provvedimento dell'imperatore Giuliano, poi detto l'apostata per le sue nostalgie pagane, che proclamò l'editto di tolleranza di tutti i culti professati nei territori romani (quindi anche quello avito e politeistico degli antichi!). Ma ancor di più i Cristiani erano garantiti dall'editto di Tessalonica del 380 emanato dal sovrano Teodosio che considerava la religione cristiana come l'unica legittima dell'Impero, e condannava qualsiasi altra espressione di culto(2): dato storico, questo, che collega il documento volgare ad avvenimenti ancora anteriori e magari al III secolo d. C., quando subirono il martirio San Felice e, dopo di lui, Adàutto, ovvero l'aggiunto, che gli si congiunse nel comune destino(3).

Ora, al di là dell'informazione storica che data la raffigurazione agiografica al VI secolo d. C., si può pensare all'intervento molto seriore di un chierico che intendesse ripercorrere un momento particolare dell'esperienza religiosa passata, invitando qualcuno a pregare nell'intimità della coscienza e con toni più sommessi. Ciò sarebbe avvenuto proprio intorno al IX secolo d.C., come suggerisce l'indagine paleografica che è in grado di integrare la conoscenza della storia, pronunciandosi sulla morfologia e su alcuni dati materiali e stilistici a essa inerenti.

In primis, infatti, la scrittura adoperata nell'incisione è di tipo onciale, quella, per essere chiari, tipica dell'età carolingia e databile, dunque, tra l'VIII e il X secolo d.C.; in secundis, la consuetudine dell'orazione religiosa a bassa voce risale con certezza alla prima fase dell'età carolingia, che si estende fra l'VIII e il IX secolo d. C. quando si prescriveva al credente che il colloquio con la Divinità fosse personale e segreto e non avvenisse nella sede comunitaria dell'assemblea liturgica; in tertiis, durante la prima metà del IX secolo d. C., i frequenti saccheggi della zona di San Paolo fuori le mura, indussero le autorità del tempo a traslare le reliquie dei santi Felice e Adàutto lontano dalla cripta, che pertanto fu di lì a poco abbandonata.

Sull'identità poi del destinatario dell'invito si sono delineate di recente alcune ipotesi suggestive e delle quali si dirà a breve.
Ma in questa sede, ci si intende occupare precipuamente dell'indagine linguistica del testo volgare che, in tutta evidenza, risulta rudimentale nell'espressione e nella disposizione spaziale e, non di meno, ancora molto, forse troppo, vicino all'antica espressione latina.
Eccone alcuni dettagli:                                                                                                                            

“La parola ille, dal latino ILLAE (o ILLAS) quelle, non conserva il significato originario, ma ha valore di articolo femminile plurale. Quanto a secrita (4), si tenga conto che la lettura corretta è secreta, con la E chiusa invece della I, secondo una grafia in uso nelle scritture pre-carolinge. Interessantissima è la forma bboce: in principio, la parola era stata scritta come boce, ma in seguito qualcuno, non si sa se lo stesso scrivente o qualcun altro, forse accortosi che la grafia non rispecchiava in pieno la pronunzia, aggiunse, in piccolo, una seconda B. Questo è un preziosissimo indizio, utile a ricostruire la pronunzia dei parlanti romani dell'epoca, caratterizzata da due fenomeni, il raddoppiamento fonosintattico, cioè la tendenza, tipica ancor oggi nella zona, ad allungare le consonanti in certe situazioni, e il betacismo, da moltissimo tempo scomparso, che porta alla confusione tra V e B (per questo dal latino VOCEM si ha bboce). La correzione potrebbe indicare anche una presa di coscienza, da parte dello scrivente, della distanza tra una lingua alta, quella latina, e una bassa, che si potrebbe forse identificare con quella volgare in uso nell'Urbe”.

Ma l'aspetto più pregnante della neoformazione di una lingua da un'altra che funga da stampo e che, normalmente si coglie nel campo del lessico e del significato, appare invece, piuttosto nell'evoluzione sintattica dell'espressione non dicere, già propriamente medio-latina e subentrante alla formula tradizionale ne dixeris, cioè mediante la particella negativa ne e il congiuntivo perfetto con valore proibitivo (o, tutt'al più ne dicas, mediante congiuntivo presente con valore esortativo).

Ora, archiviata siffatta questione, tocca individuare, come si diceva sopra, il destinatario di questa esortazione, dal momento che può offrire una chiave di lettura meno angusta e più veritiera o, almeno, verosimile.

Ebbene, dal Seminario di studi organizzato dall'Università per Stranieri di Siena e svolto in data 22 novembre dello scorso anno, si sono confrontate le tesi di alcuni studiosi impegnati nella ricerca.

La professoressa Emilia Calaresu, distinguendo tra scrivente e destinatario, elabora un’ipotesi articolata in due distinti filoni di indagine in merito alle modalità dell'interlocuzione monologica o dialogica, ma ambedue configurate in schema tridimensionale.

Infatti suppone:

1a) che si tratti di un personaggio, legato al mondo ecclesiastico, che nella circostanza potrebbe essere unico o duplice ma che chieda a un confratello di astenersi dal pronunciare ad alta voce (a bboce) il testo delle offerte (secrete)(5);

1b) oppure che i sacerdoti recitanti siano più di uno; o ancora 1c) che quell'unico prete parli a se stesso.

L'altro percorso di indagine valuta invece:

2a) la possibilità che chi parli, conoscendo la vicenda di Adàutto, martirizzato sotto il regno di Diocleziano intorno all'anno 303 d. C., ne sia esortato a non parlare ad alta voce, per non incorrere nella sua medesima sventura;

2b) ovvero che potrebbe anche trattarsi di qualche personaggio non necessariamente legato agli ambienti ecclesiastici ma presente nella cripta poi trasformata da papa Damaso in basilichetta nel 366 d. C.; o, infine,

2c) che l'autore parli a se stesso, ammaestrato del martirio del suo interlocutore muto che lo metterebbe in guardia dal parlare ad alta voce.
Insomma questo graffito parlerebbe come in un dialogo vero e proprio.

Anche a giudizio del professore Carlo Tedeschi, ospite del Seminario di Siena svoltosi il 22 Novembre 2022, è possibile scorgere nel testo la possibilità di uno scopo dialogico, del resto frequente in una classe maggioritaria di graffiti dell'alto medioevo, dove spesso il soggetto-autore parla con la Divinità o a se stesso o a un confratello o ad altri, raccomandando, come nella circostanza, a sé o a questi di non recitare preghiere ad alta voce.

A onor del vero, già all’inizio del secolo scorso Orazio Marucchi aveva formulato un'ipotesi orientativa sul significato di questa iscrizione, immaginando che si trattasse di un invito generico a moderare il tono della voce nelle occasioni liturgiche o più in generale per ossequio a un precetto di buona educazione.

Non manca, però, chi, come il sacerdote Gervasio Celi, ritenesse che l'autore dell'incisione facesse altrettanto nel momento dell'oratio super oblata, ovvero nel corso della riscossione delle offerte: e dunque, rivolgendosi all'interlocutore reale o immaginario, egli gli si rivolgesse con il pronome di seconda personale tu; oppure poteva riferirsi a un personaggio noto o sconosciuto con il pronome di terza persona egli: dunque non dire tu o, diversamente, non dica egli.

Nel 1966, peraltro, il professore Francesco Sabatini, lavorando a questo graffito, immaginava che questo “personaggio” muto parlasse all'ospite o a chi lo leggesse, raccomandandogli semplicemente di non alzare il tono della voce; e, almeno fino a trenta anni dopo, questa pur generica ipotesi egli confermava anche in occasioni successive.

In verità è difficile prendere una posizione interpretativa quando non si disponga di altro materiale di studio.

Ma purtroppo, quando gli elementi testuali e contestuali di un documento sono insufficienti a ricostruire fatti, eventi, motivazioni, conseguenze e riflessi di una vicenda, è davvero complicato avere idee chiare: è già tanto, infatti, che si possano formulare congetture sulla base dei minimi dati acquisiti ma nulla garantisce in assoluto, in questo come in tanti casi, sull'ortodossia dell'esegesi sperimentata.

Ma non per questo la verranno mai meno la passione e lo sforzo della conoscenza.                                                         

 

Note

(1) L. Perelli-F. Panero, Storia antica e medievale. Da Augusto a Federico Barbarossa, LATTES, vol. II, Torino, 1990, p.131.

(2) Ma forse i Cristiani, ormai forti della maggioranza demografica e confessionale, temevano di entrare in collisione con i nuovi dominatori barbarici, dei quali non tutti avevano abbracciato il nuovo credo o, almeno, non subito. Né va sottovalutato il peso politico delle eresie che serpeggianti nell'Impero Romano d'Oriente che manteneva ancora sue truppe nell'Italia Meridionale e in territori nord-adriatici della penisola.

(3)Le catacombe di Commodilla, in https://it.wikipedia.org/wiki/Catacombe_di_Commodilla.

(4) Si può ipotizzare al riguardo una connessione semantica, se non proprio lessicologica con il lemma greco μυστήρια (mysteria), plasmato sulla base del verbo μύω (mỳō) significante tenere la bocca chiusa, accostando le labbra per non parlare. Si tratta di un termine diffuso, nell'Ellade antica, negli ambienti della sapienza e della liturgia iniziatiche, ove le verità sapienziali e cultuali di una divinità, Demetra in capite, cui rimanda la remota tradizione eleusina, ma anche Diòniso e poi altri, perché, accessibili soltanto a una sensibilità educata alla conoscenza divina, quelle verità non fossero profanate dal volgo. In età medievale le parole del testo devozionale potevano e dovevano pronunciate a bassa voce in quanto sacre e dirette alla Divinità Unica piuttosto che alla comunità orante. Il termine, infatti, assunse il senso di un servizio, ovvero di un ufficio o anche di una cerimonia rituali, attraverso cui si potesse pervenire all'intuizione, se non alla conoscenza di una Realtà trascendente come quella della Sacra Trinità cristiana, inaccessibile alla limitata intelligenza degli uomini. Ma non meno interessanti sono i primi indizi di una trasformazione morfologica, ovvero il mutamento di significato del pronome latino ille in quello di articolo determinativo, in stretta analogia con il ben più antico ὁ (ho), ἡ () τò () del greco, parimenti passato nella giurisdizione articolare a partire da una analoga e remota identità pronominale.

(5) Da una segnalazione del professor Giovanni Garofalo alla collega Emilia Caloresu si apprende che in ambiente romanzo, e segnatamente ispanico, esiste tutt'ora un'espressione popolare, anzi più di una, come segreto de Anchuelo, ovvero segreto a voce ovvero segreto con chirimía, che rappresenta l'idea di un segreto, poi diventato di dominio pubblico malgrado le intenzioni di chi lo confidasse.

 

Bibliografia

E. Calaresu, Tracce e segnali dell'interazione tra autore e lettore, PACINI FAZZI, 2022; Ead., Le catacombe di Commodilla: una nuova interpretazione?
In https://www.youtube.com/watch?v=-dS7A0v3W94.
C. Carletti, Il Santuario dei Santi Felice e Adautto e la Catacomba di Commodilla, in J. G. Deckers, G. Mietke, A. Weiland (a cura di), Die Katakombe «Commodilla». Repertorium der Malereien, PIAC, Città del Vaticano-Münster, 1994.
E. Lippolis-I. Baldini Lipolis-N. Cucuzza, Demetra, PEARSON, Bologna, 2006.
M. Mantovani, L'iscrizione di Commodilla, una nuova ipotesi interpretativa – seminario 22 Novembre 2022. , Notiziario ULTRASI, Siena, 2022.
C. Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico, IL MULINO, Bologna, 1994, 3ª ed.; Id., Breve storia della lingua italiana, IL MULINO, Milano, 2004.
R. Marconi Cosentino-L. Ricciardi, Catacomba di Commodilla, in Serie Studia Archeologica, 66, L’ERMA di BRETSCHNEIDER, Milano, 1993.
O. Marucchi, Il Cimitero di Commodilla e la Basilica dei SS. Felice e Adatto ivi recentemente scoperto, in Nuovo Bollettino di Archeologia Cristiana, 10, 1904, pp. 134-135.
A. Pergola, Scena agiografica dalla catacomba  di Commodilla. Lastra incisa con i martiri Felice e Adautto, in F. Bisconti- M. Braconi, Incisioni figurate della tarda antichità, in Atti del Convegno di Studi Roma Palazzo Massimo, 22-23 Marzo 2012.
F. Sabatini, Un'iscrizione volgare romana della prima metà del secolo IX, in Studi linguistici italiani, 6, 1966, pp. 49-80.
L. Serianni, Lezioni di grammatica storica italiana, BULZONI, Roma,1998, nuova edizione.
N. Tranfaglia-M. Firpo (a cura di), P. Delogu, Longobardi e Bizantini in Italia, UTET, Torino, 1986-1988.
J. Wilpert, Di tre pitture recentemente scoperte nella Basilica dei SS. Felice ed Adatto nel cimitero di Commodilla, in Nuovo Bollettino di Archeologia Cristiana, 10, 1904, p. 170.

Dalla risorsa digitale e televisiva

Iscrizione della catacomba di Domitilla, in https:// it.wikipedia.org/wiki/ Iscrizione della catacomba di Commodilla.
Liceo Scientifico Louis Pasteur di Roma, Analisi storica, epigrafica e artistica delle catacombe di Commodilla, in https://www.liceopasteur.edu.it/wp-content/uploads/2020/05/Liceo-Scientifico-Pasteur-Catacombe-di-Commodilla-2.pdf.
Le catacombe di Commodilla, in https://it.wikipedia.org/wiki/Catacombe_di_Commodilla.
V. Nastri, La catacomba di Commodilla. Un messaggio graffito sull'intonaco per dare un avvertimento a chi celebra una messa, in Testata, del 1° dicembre 2018.
Tv 2000, Le catacombe di Domitilla, in Bel tempo si spera, in https://www.youtube.com/watch?v=ESOulFjZcxI (trasmissione del 23 febbraio 2021).
Unistrasi TV, L'iscrizione di Commodilla: una nuova interpretazione? in https://www.youtube. com/watch?v=-dS7A0v3W94.
Vocabolario on line, voce mistero.