(Lino Lista)
L’esistenza nella Pietatella di riferimenti all’Iconologia è accettata da molto
tempo ed è incontestabile. Numerose sculture della cappella si ritrovano,
sia come nomi sia con parte delle immagini a corredo, nel famoso trattato di
Cesare Ripa. Il sistema di simboli dell’Iconologia, però, non appare
utilizzato nei tentativi finora esperiti d’interpretazione delle
allegorie, essendo esso considerato semplicemente una sorta di codice pittografico per l’identificazione delle immagini,
dunque per la ricognizione dei significanti e non dei significati.
L’orientamento dominante, come già accennato, è quello di
ricondurre il simbolismo della Cappella San Severo nell’alveo
massonico-illuministico e tentare una decodifica nel relativo sistema di
rappresentazioni.
Oltre al velo, sul quale si genera un effetto ottico d’umidità, quasi come se fosse sudato, altri elementi caratterizzano iconograficamente la Pudicizia.
La lettura or ora esposta, soprattutto a ragione della
levatura accademica degli autori dai quali è stata proposta e sposata,
è fino a oggi dominante. Tal essa, però, è e rimane: una
lettura. L’allegoria è “un’altra cosa”.
Un’allegoria deve esprimere un’idea compiuta o una storia, differente da quella raccontata sul piano delle forme, mediante l’uso coerente d’immagini simboliche. Invocando per principi d’autorità Quintiliano e Edgar Wind, se è vero che un’allegoria è una metafora continuata e il simbolo gioca nell’arte figurativa il ruolo che la metafora ha nel linguaggio, allora così come le metafore agiscono in letteratura sviluppandosi in allegoria per mezzo di figure in successione logicamente correlate, i simboli devono relazionarsi tra loro essendo coesi come in un mosaico, sia per legame sia per omogeneità del tassello. Non può ogni simbolo, l’uno indipendentemente dall’altro, configurarsi come un semplice rinvio a un’idea all’interno di un’enclave spazio-temporale e culturale di rappresentazioni. Operazione, quest’ultima, peraltro molto ardua quando nell’enclave, essendo essa sincretica, risiedono immagini e idee provenienti da generazioni simboliche tra loro differenti per età e cultura. Da una simile prassi, creativa o interpretativa che sia, può derivare soltanto un’opera d’arte, o una lettura dell’opera, stocastica. In ermeneutica, d’altra parte, quando non c’è squadra idonea a collegare il particolare al generale dei lavori di un autore e viceversa, non esiste compasso in grado di tracciare il circolo della conoscenza.
Esiste, nella Pudicizia Velata, un simbolo dominante:
è
Nell’immagine universale “Amor di fama” di Cesare Ripa[11]
è spiegato: “
La lapide lesa e ribaltata nel monumento della Pudicizia,
essendo per l’appunto schiantata e ribaltata in un angolo, da un punto di
vista anche razionale, non può alludere alla morte prematura della madre
di don Raimondo. Certamente non
può esserlo da un punto di vista ermeneutico, siccome in un’opera
non casuale un simbolo è coerente con l’altro e nei pressi
dell’evangelico orto della Resurrezione, scolpito nel bassorilievo da
Corradini, si narra di una pietra rovesciata. La lapide schiantata e ribaltata
della Pudicizia Velata significa, allora, resurrezione.
Il vaso bruciaprofumi, nell’iconologia di Ripa, si pone per l’Oratione siccome in
un turibolo si brucia incenso e l’incenso si eleva verso l’alto
come la preghiera (rappresentazione che ben si addice al monumento per una
madre morta). In una descrizione dell’Oratione
di Ripa, ancora una volta, il riferimento è alla vita eterna: “...le cose dimandate nell'Oratione devono esser
appartenenti al Cielo, che è nostra Patria, & non alla Terra, ove
siamo Peregrini”. Nei turiboli si bruciava, però, anche la
mirra la quale, essendo un aroma per l’imbalsamazione dei corpi, è
simbolo d’immortalità.
Un vaso contenente mirra, riferendoci ancora una volta all’evento
raccontato nel bassorilievo del “Noli
me tangere”, lo recava Maria Maddalena, la quale perciò
è definita “mirrofora”, ovverosia portatrice di mirra; anche
il vaso bruciaprofumi, quindi, in un’interpretazione tradizionale
dell’arte, rinvia al concetto di vita eterna.
La cintura di boccioli di rose sull’addome della
Pudicizia, nella metafora più universale e naturale in questo mondo, non
può che alludere alla vita che sboccia nuovamente. “Tanti volti, che Morte e 'l Tempo ha guasti,
/ torneranno al suo più fiorito stato” scrisse Francesco
Petrarca nel Trionfo
dell’Eternità. Un tropo, questo del poeta dei Trionfi, molto iniziatico seppure per
niente esoterico, anzi assolutamente essoterico, intelligibile a tutti.
Vita, resurrezione, immortalità, rinascita: questi
concetti, ribaditi ossessivamente con l’impeto di uno scalpello, emergono
lampanti e chiari alla luce dell’iconologia tradizionale.
Rimane il velo, da indagare.
Che cosa può intendere il diafano velo che ricopre il
corpo ignudo, in un’interpretazione più convenzionale?
Non si potrà comprendere il senso formale del velo
della Pudicizia Velata trascurando la
spiegazione dell’immagine della Pudicitia
che ne offre Cesare Ripa nell’iconologia pubblicata da Raimondo di
Sangro: “Pe lo Velo si dà ad
intendere quanto la donna casta, & pudica deve sprezzare l'abbellimento
della propria persona”. Non si potrà collegare pienamente la
scultura al bassorilievo del “Noli
me Tangere” senza rammentare che, nel simbolismo dell’arte
cristiana, la nudità è ritenuta una caratteristica virtuosa ed
è un attributo iconografico della Maddalena, scolpita nel bassorilievo
d’Antonio Corradini, così come lo è di Eva, considerata in
uno stato di purezza prima che si ricoprisse di foglie di fico.
Appare bagnato, il velo della Pudicizia, “come se il vapore esalato dal bruciaprofumo
contribuisse a rendere umido e straordinariamente aderente alla pelle lo strato
impalpabile” è scritto nel sito della Cappella San
Severo. “Come se fosse sudato, come se fosse un sudario” si può
affermare alla luce della metafora prolungata della vita che emerge lampante
dall’analisi simbolica tradizionale. Nel gioco di corrispondenze e
simmetrie che collegano il particolare al generale nella Grande Opera, la
metafora prolungata della Pudicizia Velata si rifletterà, allora, nella
sindone trasparente del Cristo Velato.
Una vena gonfia, quasi pulsante, palpita sulla fronte del
Cristo morto, sotto il famoso velo trasparente che ha donato la fama a Giuseppe
San Martino, al tempietto della Pietatella e, in primo luogo, al suo
mecenate-simbolista Raimondo di Sangro.
A causa di quella vena vitale, è stato scritto, la
scultura del Cristo Velato deposto, con gli strumenti della passione ai suoi
piedi, è metafora di Cristo risorto.
La Pudicizia fu
realizzata da Antonio Corradini tra il 1750 e il 1752. Il Cristo Velato, del
1752, fu scolpito da Giuseppe San Martino in conformità a un bozzetto in
creta dello stesso Corradini. Lo stile tardo-barocco del giovane scultore,
naturalmente, influenzò l’opera ma non il suo significato,
intimamente racchiuso nel velo del modello corradiniano e allusivo della
sindone che, nella tradizione, è icona della resurrezione di Cristo. In
un velo similare, per quanto emerge dallo svelamento dei simboli secondo una
chiave di lettura alternativa all’esoterismo, Raimondo di Sangro volle far
avvolgere la scultura dedicata alla propria madre e l’interpretazione
appare più che plausibile in un sacello di famiglia.
Conclusioni
L’accettazione d’ogni interpretazione di un’opera d’arte, in fondo, è sempre un atto di fede. E ogni proposta di lettura pure si deve scontrare con il rifiuto a dischiuderne il simbolismo siccome molti ritengono, similmente a E.M. Forster, che la soluzione di un enigma artistico comporti la morte della Sfinge e che, conseguentemente, l’opera ne risulti sminuita.
Nel caso dell’interpretazione proposta della Pudicizia non è così. Ben sei simboli su sei (quercia, serto di boccioli di rose, turibolo, bassorilievo, lapide schiantata, velo) sono riconducibili, quando interpretati tradizionalmente, al concetto di vita e resurrezione. La probabilità che essi possano essere stati collocati casualmente è bassissima e la contestualizzazione nel tempietto-sacello del Cristo Velato, poi, oltre ogni filosofia attribuita al mecenate, rinvigorisce la tesi.
Nemmeno
[1] Francesco Petrarca, dal “Trionfo della Pudicizia” e dal “Trionfo dell'Eternità”
[2] Il contributo “I Veli di Marmo di Raimondo di Sangro Principe di San Severo” è disponibile all’indirizzo: http://www.cartesio-episteme.net/ep8/ep8.htm
[3] RAIMONDO DI SANGRO (edizione finanziata da), Iconologia del Cavaliere Cesare Ripa Perugino, Stamperia di Piergiovanni Costantini, Perugia 1764 -1767
[4] LEEN SPRUIT (a cura di), Raimondo di Sangro, Lettera Apologetica, Alos Edizioni, Napoli, 2002, pp. 99-100
[5] La scultura della Pudicizia è visionabile nei siti: http://www.museosansevero.it/html/opere/pudicizia.htm e http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=40329. L’elaborazione grafica a corredo del presente lavoro è un dono dell’architetto Ornella De Dantis
[6] Giovanni (20,15)
[7] ROSANNA CIOFFI,
[8]
Raimondo di Sangro fu accettato in una loggia massonica il 22 luglio del 1750.
Dopo pochi mesi ne divenne il Gran Maestro e sottomise alla sua obbedienza le
altre logge del Regno. Nel luglio del 1751, se non prima, a seguito della Bolla
di Scomunica promulgata da Benedetto XIV e dell'Editto antimassonico di Carlo
di Borbone, il Principe consegnò al sovrano le liste dei Liberi Muratori
e provocò il disfacimento della Fratellanza. Il primo agosto, appena un
anno dopo l'adesione, con un’epistola al Papa, ripudiò
[9] ROSANNA CIOFFI, op. citata
[10] L. SANSONE VAGNI, Raimondo di Sangro principe di San Severo, Ed. Bastogi, Foggia, 1992, p. 499
[11] La descrizione dell’immagine “Amor di Fama” è tratta dall’edizione dell'Iconologia di Cesare Ripa stampata a Roma nel 1593 dagli eredi di Giovanni Gigliotti
[12] LEEN SPRUIT, op. citata, pp. 123-162